Il 1981 è certamente stato il breakthrough year per Phil Collins. Il suo primo album da solista, Face Value, era stato nei primi mesi dell'anno un successo mondiale, bissato poi in autunno dal nuovo prodotto targato Genesis, denominato Abacab. I suoni dei due album hanno una caratteristica comune, ossia la nuova timbrica del drumming di Collins, che consta di colpi secchi e continui su rullante e tom (merito della nuova Roland Drum Machine).
Più che accompagnare la melodia, dilata ed integra di potenza la stessa. Troviamo esempi in In The Air Tonight, e per quanto concerne Abacab, in Another Record o Who Dunnit? . Le similitudini tuttavia terminano qui. Face Value è un buon prodotto, professionale ed efficace, tanto quanto Abacab è dispersivo e generalmente povero di spunt apprezzabili. Gli spunti apprezzabili risiedono nei pezzi di rock pesante presenti nel disco, tra cui il più riuscito è senza dubbio la title track, il brano più duro mai inciso sinora dalla band, e l’intensa Keep It Dark, che gode di un tessuto armonico articolato e per nulla banale. Entrambi i brani riceveranno, pubblicati come singolo, un meritato consenso di pubblico.
Il capolavoro del disco è senza dubbio Me And Sarah Jane, non a caso firmato dal solo Banks, unico e sottovalutato genio tra tutti coloro che abbiano mai gravitato in ambito Genesis. La canzone è un riuscitissimo mix di reggae e art-rock, sufficientemente tortuoso da mostrare che la vena prog non era del tutto stata polverizzata. Il fatto è che non c’è molto altro di buono, nel disco. Il medley Dodo-Lurker vorrebbe riuscire sul piano hard-funk, ma è penalizzato da un’andatura lenta e nebulosa, oltretutto il doppio break di tastiera nel mezzo è talmente goffo e sforzato da risultare assolutamente indigesto. Il lento mellifluo di Man on the corner, lezione civica del prof. Collins, è piuttosto untuoso e francamente indisponente. (Se nell’album ci sono testi di un certo rilievo, questi sono guarda caso quelli dell’accecante solitudine di Me And Sarah Jane o l’astratta, improbabile speranza anelata in Keep It Dark). Il contributo di Mike Rutherford, Like It Or Not, è nulla più di una love song rancorosa e trascurabile. In questi casi, e Mc Cartney insegna, se non ti salvi con la classe sei finito, ed il pezzo è semplicemente brutto. Per non parlare della sconcertante Who Dunnit? per la quale posso pensare che trattasi di libera jam session per scaldare voce e strumenti, imperdonabilmente “dimenticata” nell’acetato in sede di mix. Consta infatti di esclamazioni e versacci vari, foderati di un accompagnamento martellante ed ossessivo, techno in pratica. Cosa volevano dimostrare? Risulta difficile pensare non avessero di meglio da proporre. La closing Another Record apporta quantomeno un po’ di brio, con la sue atmosfere ipnotiche e gli stacchi seducenti, salvo ricadere nel peccato originale del cantato della strofa ripreso pari pari da Turn It On Again Forse sono troppo critico, illuso che magari il marchio Genesis significhi ancora lunghe e ricamate suites strumentali, o le pastoralità barocche tracciate da Steve Hackett. Ma lo sformato funky di No Reply At All, vera e propria esplosione di fiati gentilmente offerti dagli Earth Wind and Fire che infesta il brano da capo a piedi, è veramente eccessivo, andando oltretutto a discapito di una melodia interessante.
Insomma, non siamo nemmeno di fronte ad un presentabile, onesto prodotto pop-rock, come lo erano Duke o anche And Then There Were Three. The times they are a-changing. Fin troppo.
Fonte: http://www.amamusic.it/recensioni/G/45-genesis/46-abacab.html
Link: http://www.filesonic.com/file/2817146915
Link: http://www.fileserve.com/file/BjE8M4p
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